Nell’antica Grecia il bello era sinonimo di perfezione, armonia delle forme sia nell’arte che nella filosofia. Per Platone il bello offre all’occhio e alla mente proporzione e armonia, ordine e misura in modo che la varietà degli elementi si disponga in gradi e si componga in un tutto plasmato e ordinato dalla vita nello spirito, tutto verso il bello in sé, verso l’idea del bello, eterna, perfetta, immortale. Per Plotino, invece, il bello è l’intuizione dell’artista, il suo genio che crea l’unità tra le parti molteplici dell’oggetto, cioè è una creazione dell’intelligenza.
Idea, questa, ripresa nel Rinascimento.
Il bello per Kant non è una qualità oggettiva (propria) delle cose, non esistono oggetti belli di per sé, ma è l’uomo che attribuisce tale caratteristica agli oggetti.
Hegel distingueva “bello naturale” e “bello artistico” superiore quest’ultimo nella sua spiritualità. “Tutto quel che è spirituale è superiore ad ogni prodotto naturale”. L’essenza della bellezza risiede nell’arte in quanto prodotto dello spirito: l’opera d’arte è tale solo in quanto originata dallo spirito, appartiene al campo dello spirito.
Per Benedetto Croce il bello non è un fatto fisico, non ha nulla a che vedere con l’utile, col piacere, col dolore, con la morale, non è oggetto di conoscenza concettuale; è dunque ciò che produce uno stato d’animo libero da ogni interesse pratico o logico.
Tantissimi altri filosofi, ovviamente artisti e anche critici d’arte si sono cimentati sull’idea del bello, ognuno fornendo una visione basata su proprie esperienze e convinzioni. Tra questi il pittore Albrect Dürer. Il suo lavoro fu innovativo poiché esprime quanto fosse importante per lui lo status intellettuale e sociale. Dürer univa grandi capacità manuali a un’intelligenza formidabile e a un’immaginazione vivace. Sentiva di non poter raggiungere una crescita artistica senza studiare l’arte dei grandi contemporanei italiani che si ispiravano alle opere classiche. Oggi le sue opere più famose sono rappresentazioni di soggetti comuni (una lepre o una zolla erbosa) che pochi artisti del tempo avrebbero considerato degni della loro attenzione. Ciò nonostante, Dürer pur dedicando le migliori energie, la propria esperienza e la sua grande forza intellettuale in una spasmodica ricerca di definire la bellezza, all’apice della sua carriera, esclama: << ma cosa sia la bellezza, non lo so >>. Con questa espressione lapidaria e disarmante, egli mette a nudo la propria attività di artista e di uomo di cultura.
Il filosofo francese Jean-Francois Lyotard ha scritto: << Credo che la bellezza non sia niente. Voglio dire che la bellezza non esiste, se esistere vuol dire stare nello spazio e nel tempo constatabili, intuibili. Come diceva Kant, la bellezza non è un predicato di oggetto. Si può dire che qualcosa è grigio, ma, quando si dice che è bello, bello non è grigio. E questo significa che il bello non è un predicato di oggetto. La bellezza non è qui, il grigio invece è qui, è dato nello spazio, nel tempo. Allora dove sta la bellezza? Sta nel sentimento. […] E’ un sentimento che segnala la bellezza, nient’altro.
Potremmo credere che sia bella una cosa che ci piace: eppure ciò che è bello è diverso da ciò che ci piace. Gli spinaci, per esempio, mi piacciono molto; ma il mio giudizio sugli spinaci non pretende di essere un giudizio di bellezza… >>.
Saggezza popolare e filosofia convergono per dirci quello che è uno dei luoghi comuni più usati quando si parla di bellezza: “Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”. Affermazione alquanto discutibile se la riferiamo a epoche storiche o culture differenti. Una donna raffigurata in un quadro rinascimentale è alquanto lontana dai canoni di bellezza che ci propongono la moda, la pubblicità o pellicole cinematografiche. In videoclip musicali degli anni ’80 troviamo pettinature vaporose e cotonate che andavano tanto di moda trent’anni fa e che invece oggi ci sembrano ridicole.
Per Giulio Paolini, un maestro dell’arte concettuale: << La bellezza, forse, è qualcosa che si può confessare solo a noi stessi. Certo, ciascuno di noi sa cosa gli piace e cosa non gli piace, però la sfida sarebbe quella di uscire dalla propria personale, se pur nitida sensazione >>.
Tutte queste affermazioni, ci fanno intendere che la bellezza esista, ma non si sa che cosa sia… eppure se ne parla tanto.
Essa sembra dunque sfuggire ad ogni definizione; è sicuramente per questo che risulta parente stretto dell’infinito: in comune con il quale presenta la vertigine dell’interpretazione.
Tratto da << Che cosa sia la bellezza, non lo so >> di Giulio Guarini. Tesi d’esame di Estetica (A.A. 2010/2011).